< Romani 7

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[1] Fratelli, voi conoscete bene le leggi e sapete certamente che la Legge ha potere sull' uomo soltanto mentre egli è in vita.
[2] La donna sposata, per esempio, è legata dalla Legge al marito finché egli vive. Ma se il marito muore, la donna è sciolta dalla Legge che la legava a lui.
[3] In base a questo principio, la donna è considerata adultera se va con un altro uomo quando il marito è ancora in vita; ma se questi muore, è libera per quel che riguarda la Legge, e non è più adultera se va con un altro uomo.
[4] Qualcosa di simile accade per voi, fratelli miei. Voi siete morti nei confronti della legge di Mosè, perché siete stati uniti a Cristo nella sua morte. Perciò ora voi appartenete a colui che è risuscitato dai morti, affinché la vostra vita sia ricca di opere gradite a Dio.
[5] Quando infatti noi vivevamo seguendo i nostri desideri, la Legge stimolava passioni malvagie che ci facevano agire in modo da portarci alla morte.
[6] Ma ora siamo morti nei confronti della Legge che ci teneva in suo potere: non siamo più al suo servizio. Perciò serviamo Dio non più secondo il vecchio sistema che era fondato sulla Legge scritta ma in modo nuovo, guidati dallo Spirito.
[7] Dobbiamo forse concludere che la Legge è peccato? No di certo! La Legge però mi ha fatto conoscere che cos' è il peccato. Per esempio, io ho saputo che era possibile desiderare cose cattive, perché la Legge ha detto: non desiderarle.
[8] Il peccato allora, da quel comandamento, ha preso l' occasione per far nascere in me ogni specie di desideri. Invece, dove non c' è la Legge, il peccato è senza vita;
[9] e io prima vivevo senza la Legge, ma quando venne il comandamento, allora il peccato prese vita,
[10] e io morii. Così il comandamento che doveva condurmi alla vita, nel mio caso mi ha condotto alla morte.
[11] Il peccato infatti ha colto l' occasione offerta dal comandamento, mi ha sedotto e mi ha fatto morire per mezzo dello stesso comandamento.
[12] Di per sé, la Legge è santa e il comandamento è santo, giusto e buono.
[13] Quel che è buono sarebbe dunque diventato per me causa di morte? No! è il peccato che causa la morte: si è manifestato per quel che realmente è, si è mostrato in tutta la sua violenza per mezzo di una cosa buona, servendosi cioè del comandamento.
[14] Noi certo sappiamo che la Legge è spirituale. Ma io sono un essere debole, schiavo del peccato.
[15] Difatti non riesco nemmeno a capire quel che faccio: non faccio quel che voglio, ma quel che odio.
[16] Però se faccio quel che non voglio, riconosco che la Legge è buona.
[17] Allora non sono più io che agisco, è invece il peccato che abita in me.
[18] So infatti che in me, in quanto uomo peccatore, non abita il bene. In me c' è il desiderio del bene, ma non c' è la capacità di compierlo.
[19] Infatti io non compio il bene che voglio, ma faccio il male che non voglio.
[20] Ora, se faccio quel che non voglio, non sono più io ad agire, ma il peccato che è in me.
[21] Io scopro allora questa contraddizione: ogni volta che voglio fare il bene, trovo in me soltanto la capacità di fare il male.
[22] Nel mio intimo io sono d' accordo con la legge di Dio,
[23] ma vedo in me un' altra Legge: quella che contrasta fortemente la Legge che la mia mente approva, e che mi rende schiavo della legge del peccato che abita in me.
[25] Eccomi dunque, con la mente, pronto a servire la legge di Dio, mentre, di fatto, servo la legge del peccato. Me infelice! La mia condizione di uomo peccatore mi trascina verso la morte: chi mi libererà? Rendo grazie a Dio che mi libera per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore.